Questo articolo è stato precedentemente pubblicato
in inglese il 20 ottobre 2011
Fiat prevede di chiudere due dei suoi stabilimenti auto in
Italia entro la fine dellanno: Termini Imerese in Sicilia
e Irisbus nei pressi di Napoli. Questa decisione riguarda circa
3.000 lavoratori e le loro famiglie: 700 dipendenti della Irisbus
in Campania, più 300 lavoratori a contratto, e 1.300 Fiat
in Sicilia, più altri 800 presso le aziende dei fornitori.
Termini Imerese è sotto minaccia di chiusura da anni.
Già nel 2009 l'amministratore delegato Sergio Marchionne
aveva dichiarato che la produzione nello stabilimento siciliano
non era proficua. La produzione ha proceduto a intermittenza con
periodi di pausa durante i quali i lavoratori sono stati costretti
a vivere con i penosi sussidi della cassa integrazione. Ora Fiat
vuole chiudere lo stabilimento siciliano alla fine di quest'anno.
I lavoratori dello stabilimento hanno aderito a scioperi sin
da questestate. Hanno occupato i cancelli della fabbrica
tutti i giorni decisi a difendere non solo il loro lavoro, ma
anche quello dei colleghi impiegati dai fornitori affiliati. Hanno
bloccato i binari e le strade, organizzato manifestazioni e hanno
invitato l'intera regione a radunarsi per protestare a Palermo.
Il 14 settembre, i rappresentanti dei tre sindacati metalmeccanici
principali (FIOM, FIM e UILM) hanno organizzato una manifestazione
a Palermo proclamando la loro intenzione di salvare posti di lavoro.
Al tempo stesso, però, i burocrati sindacalisti hanno avuto
lunghe trattative con il governo nazionale e regionale in merito
alla vendita dell'azienda e dei macchinari.
Il 5 ottobre, il ministro per lo sviluppo economico, Paolo
Romani e il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, hanno
presentato il loro ultimo piano sconsiderato. Dopo aver proclamato
per mesi progetti per un nuovo parco solare e studi televisivi
e cinematografici sull'isola, il loro recente "piano"
è che la proprietà della Fiat debba essere rilevata
dalla casa automobilistica DR.
Il gruppo DR è interamente controllato da Massimo Di
Risio e attualmente produce tre modelli per la sua partner cinese,
Chery. Di Risio ha promesso che in quattro anni Termini Imerese
sarà in grado di produrre 60.000 vetture (cioè la
metà della capacità di corrente) con 1.300 lavoratori.
Il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore, ha subito scritto:
"DR Motor batte de Tomaso: salverà Termini Imerese".
Un parere opposto è stato pubblicato dal quotidiano
online LiveSicilia.it dal titolo: "Fiat, il grande bluff
DR", dichiarando che le proposte del gruppo DR non devono
essere prese sul serio. I piani DR hanno comunque scatenato un'ondata
di scetticismo.
I dati di vendita per il Gruppo DR sono in calo e l'azienda
è indebitata. Con l'acquisizione di Fiat di Termini Imerese
Di Risio incasserebbe subito 40 milioni di euro sotto forma di
sovvenzioni non rimborsabili dalla Regione Sicilia, oltre a generosi
prestiti bancari. Il sospetto è che quindi l'azienda stia
cercando di usare la sua proposta di acquisizione dello stabilimento
Fiat per salvarsi con denaro pubblico.
I 685 lavoratori alla Irisbus sono anche essi in lotta per
il loro posto. Lo stabilimento in Valle dell'Ufita, in provincia
di Avellino, fa parte del Gruppo Iveco, una ex joint venture franco-italiana
tra Renault e Fiat e ora cento per cento nelle mani della divisione
veicoli commerciali Fiat.
I lavoratori della Irisbus sono stati licenziati tre mesi fa,
quindi costretti a vivere con la Cassa Integrazione. Lo stabilimento
è sotto sorveglianza ventiquattro ore su ventiquattro da
settembre.
Il 15 ottobre ha avuto luogo uno scontro con la polizia, quando
tre autotreni sono arrivati in fabbrica per prelevare quindici
autobus Irisbus da trasportare a Torino. Circa 150 lavoratori
hanno tentato di impedire ciò attraverso la creazione di
barricate di auto e balle di fieno. La polizia in un primo momento
si è dimostrata incapace di intervenire, ma poi tre divisioni
di polizia antisommossa sono state chiamate per liberare la strada
per i trasportatori, facendo un uso eccessivo della forza.
I nervi dei lavoratori sono al limite. Già il 21 settembre
aveva avuto luogo un altro scontro con la polizia a Roma, quando
una delegazione di lavoratori ha cercato di dimostrare al di fuori
del parlamento. I lavoratori, tra cui diverse donne e anziani,
sono stati costretti dalle forze armate in una strada laterale
dove sono stati circondati e trattenuti per ore.
Entrambi gli stabilimenti, Irisbus e Fiat Termini Imerese,
sono importanti siti industriali nel Sud Italia. Furono istituiti
40 anni fa, nei primi anni 70, per contrastare l'alta disoccupazione
del mezzogiorno. Oggi il sud è caratterizzato da estrema
povertà. La disoccupazione giovanile è tre volte
superiore rispetto al nord, e il maggior numero di poveri in termini
assoluti (oltre un milione in Italia) vive nel sud.
Allo stesso tempo, uno strato estremamente ricco si è
sviluppato nella parte alta della società. Nel secondo
trimestre del 2011 Fiat ha incrementato i suoi profitti di oltre
il 22 per cento, in larga misura per le vendite di modelli di
lusso come Ferrari e Maserati.
La chiusura di vari stabilimenti Fiat nel sud Italia dimostra
il completo fallimento della politica del riformismo promossa
dal Partito Comunista Italiano (PCI) nel dopoguerra. Nel "compromesso
storico" con la presunta ala progressista della borghesia,
il PCI cercò di tarpare le ali del capitalismo sulla base
di riforme e investimenti pubblici. Nel 1974 il leader del PCI
Enrico Berlinguer dichiarò che "l'obiettivo principale
del PCI" consisteva nello sviluppo sociale del Mezzogiorno.
Ciò è ormai acqua passata. Oggi, i sindacati
emersi dalle fila del PCI, la CGIL e la FIOM specificamente per
i metalmeccanici, lavorano a stretto contatto con i management
al fine di attuare i tagli occupazionali e salariali voluti dalle
società.
Fiom ha annunciato uno sciopero di otto ore in tutto il gruppo
Fiat e una manifestazione nazionale a Roma per il 21 ottobre.
L'obiettivo principale dello sciopero è per protestare
contro il ritiro del Gruppo Fiat da Confindustria. L'amministratore
delegato di Fiat, Sergio Marchionne, ha annunciato le sue dimissioni
dalla federazione per la fine di quest'anno, ribadendo il diritto
del gruppo a stabilire contratti individuali in ciascuna delle
sue fabbriche.
Marchionne ha già implementato nuovi contratti di lavoro
come parte del progetto Fiat "Fabbrica Italia". I nuovi
contratti riguardano aumenti di orari di lavoro e più flessibilità,
pause più brevi, divieto di sciopero e l'abolizione di
molti diritti tradizionali. Contratti analoghi sono già
stati introdotti negli stabilimenti di Torino-Mirafiori, Melfi
e Pomigliano D'Arco. La loro introduzione è avvenuta attraverso
dei contorti referendum volti a sovvertire i contratti nazionali
esistenti.
Il segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, ora teme
che l'azienda si rifiuterà di riconoscere FIOM come rappresentante
dei lavoratori. Ciò mette duramente a repentaglio l'influenza
del sindacato, la sua dirigenza e, soprattutto, pone fine alla
sua fonte redditizia delle quote associative.
La seconda richiesta alla base dello sciopero del 21 ottobre
è che "Fiat resti in Italia". Fiom quindi conferma
una posizione completamente nazionalista. Il sindacato è
preoccupato perché i bilanci più recenti mostrano
che la quota maggiore dei profitti Fiat è stata realizzata
al di fuori d'Italia, cioè negli Stati Uniti, in Brasile
e in Polonia. Landini teme, in ultima analisi, che Marchionne
possa lasciare il Paese del tutto.
Per FIOM e CGIL, il problema non è l'intensificazione
dello sfruttamento capitalista. Si rifiutano di organizzare solidarietà
transfrontaliera per difendere i posti e le condizioni di lavoro
e, al contrario, supportano salari più bassi e condizioni
di lavoro peggiori in Italia, a condizione che i licenziamenti
avvengano altrove. Mettono i lavoratori gli uni contro gli altri
e così facendo favoriscono la società.
Questo è dimostrato anche dal fatto che a settembre
il segretario della CGIL Susanna Camusso ha sostenuto il "Manifesto
delle imprese" pubblicato da Confindustria. Il 24 settembre
Camusso ha emesso un comunicato stampa della CGIL dal titolo:
"Confindustria-CGIL asse contro la crisi per salvare
l'Italia".
I sindacati stanno lavorando insieme con il Partito Democratico
e con Confindustria al fine di superare la crisi finanziaria.
Già nel mese di luglio, un certo numero di sindacati, compresa
la CGIL, hanno firmato un patto che include una clausola di non
sciopero. Lungi dal difendere i posti di lavoro e i diritti fondamentali,
i sindacati subordinano i lavoratori ai diktat delle grandi imprese
imbavagliando i lavoratori e contribuendo così a un maggiore
sfruttamento.
I posti di lavoro e i diritti dei lavoratori possono essere
difesi solo attraverso la creazione di una nuova leadership che
difenda gli interessi e i bisogni della classe lavoratrice internazionale,
piuttosto che gli interessi della borghesia italiana.