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Italia: manovra a destra alla base dell’ultimo scandalo Berlusconi

Di Marc Wells
13 novembre 2010

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Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in inglese il 12 novembre 2010.

Le nuove rivelazioni sul coinvolgimento in casi di prostituzione e corruzione del Primo Ministro Silvio Berlusconi indicano una nuova fase della crisi politica che sta travolgendo l’Italia. Il neo-fascista Gianfranco Fini sta emergendo come un suo grande rivale e sta valutando possibili alleanze con politici di tradizione stalinista.

Karima el-Mahroug, nota anche come Ruby, è l’ultimo nome aggiunto ad una lista di giovani donne coinvolte nella vita sessuale del premier, da Noemi Letizia a Patrizia D’Addario a Nadia Macrì. Nel caso di Ruby, le accuse di corruzione della polizia sono emerse dai rapporti della polizia stessa, secondo cui Karima era stata trattenuta dalla procura milanese nell’ambito di un’inchiesta sulla prostituzione.

Secondo il capo della questura di Milano, Pietro Ostuni, Berlusconi lo ha chiamato personalmente per chiederne il rilascio della giovane el-Mahroug, sulla base del suo rapporto personale con lei e per motivi diplomatici. Berlusconi avrebbe falsamente affermato che Ruby è una parente stretta del presidente egiziano Hosni Mubarak.

La classe dirigente, devastata da conflitti interni su come architettare un nuovo spostamento a destra per abbattere il tenore di vita dei lavoratori, sta usando gli scandali sessuali per distrarre I lavoratori stessi da una grave crisi economica di cui lei è la sola responsabile. Sebbene nessuna decisione definitiva sia stata effettuata riguardo a un nuovo governo, vi è un ampio accordo nella classe dirigente sulla necessità di far dimettere Berlusconi definitivamente. La sua impopolarità renderebbe nuovi attacchi contro la classe lavoratrice politicamente troppo esplosivi.

La crescita dei politici neo-fascisti

La rottura con il Popolo della Libertà (PdL) da parte di Fini è un serio avvertimento alla classe lavoratrice che i piani per nuovi tagli e repressione sono già a buon punto. Fini ha cominciato ad allontanarsi dal primo ministro la scorsa estate, formando una nuova fazione parlamentare destinata a diventare un partito politico a gennaio.

Al primo convegno nazionale del suo neonato Futuro e Libertà per l’Italia (FLI) lo scorso fine settimana, accompagnato dall’inno nazionale italiano, ha chiesto: “Berlusconi si dimetta.” Sebbene Fini sia stato uno dei leader del governo Berlusconi, ha affermato che “il governo ha perso la rotta, galleggia.”

Significativamente, i neofascisti si stanno rivolgendo ai partiti stalinisti. Fini ha affermato: “non sarò subalterno alla sinistra, ma dobbiamo smettere con questa paura dei comunisti. Quel mondo è molto più complesso.”

L’eredità politica del gruppo FLI risale al regime di Benito Mussolini, anche se ha fatto tentativi sistematici di nascondere il suo passato fascista e assumere una parvenza “democratica”. Questo orientamento fu impostato dal mentore di Fini, il fascista Giorgio Almirante, il quale giocò un ruolo attivo nel governo di Mussolini, in particolare a sostegno delle leggi razziali fasciste del 1938.

Nel 1980 era in cerca di un erede giovane alla guida del partito neo-fascista di cui era a capo, il Movimento Sociale Italiano (MSI). In un’intervista al Corriere della Sera, Almirante disse che la sopravvivenza di un partito nazionalista e statalista-corporativo richiedeva la rottura con le icone classiche della nostalgia fascista, senza però compromettere la politica di base del controllo autoritario dello Stato borghese.

Fini ha ereditato questa prospettiva e ora rappresenta sezioni della borghesia che cercano di sbarazzarsi di Berlusconi. La fedeltà di Fini alla grande industria è stata riaffermata in una recente dichiarazione, in cui ha sostenuto la prospettiva avanzata da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria.

Una settimana fa, la Marcegaglia si lamentava che c’è “uno smarrimento forte nel paese, mancanza di fiducia. È necessario ritrovare il senso delle istituzioni e della dignità”, sottolineando la necessità di un forte” rispetto dello stato e delle istituzioni.”

Più esplicitamente, ha individuato nella crisi economica un problema politico. In un messaggio indirizzato alla classe dirigente politica, ha lamentato “la bassa crescita” e ritardi nell’attuazione di “riforme ormai condivise.” Queste riforme consistono di ulteriori attacchi al tenore di vita dei lavoratori, con tagli alla spesa sociale e austerità fiscale. Questo sarebbe il compito principale di un governo post-Berlusconi.

Alla base di questo processo c’è un declino economico che riflette una più ampia crisi sistemica dell’economia internazionale. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede il tasso di disoccupazione in Italia al 10,5 per cento entro la fine del 2010. Per i giovani tra i 15 e 24 il tasso è molto più alto: 26,3 per cento.

Secondo un recente rapporto rilasciato da Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, il prodotto interno lordo (PIL) è sceso di quasi 7 punti dall’inizio della recessione del 2008. Più specificamente, la relazione evidenzia costi del lavoro più alti in Italia rispetto al resto dell’UE. Dal 1998 al 2008, i costi unitari del lavoro in Italia sono cresciuti del 24 per cento, mentre in Germania, afferma la relazione, sono diminuiti.

Lo scopo principale della relazione è quello di costruire un caso contro i lavoratori: i salari sono troppo alti, e i lavoratori dovrebbero lavorare di più per meno al fine di aumentare la competitività delle imprese italiane. Il costo del lavoro deve, in ultima analisi, scendere al livello dei lavoratori super-sfruttati in Cina o altri paesi in via di sviluppo.

Questo approccio non è specifico dell’Italia. Negli Stati Uniti, il presidente Barack Obama ha supervisionato un attacco massiccio su salari e tenori di vita, soprattutto da come si evince dai tagli imposti ai lavoratori Chrysler e General Motors. In Francia, la riforma sulle pensioni approvata dal governo Sarkozy segna una nuova tappa sulle misure di austerità supportate dal FMI contro gli anziani. In Grecia il governo di centro-sinistra di George Papandreou ha imposto pesanti tagli salariali fino al 30 per cento.

La bancarotta della cosiddetta “sinistra”

Il riemergere di tendenze neo-fasciste, soprattutto in un paese che è stato devastato da due decenni di brutale dittatura fascista nel ventesimo secolo, richiede delle spiegazioni. Come può esserci uno spostamento politico a destra quando i lavoratori si stanno visibilmente spostando a sinistra, come dimostrato dal recente aumento di scioperi e azioni industriali?

La ragione va ricercata nel vuoto creato dal fallimento totale di ciò che passa per partiti di “sinistra”—in particolare le varie frammentazioni di Rifondazione Comunista. Il ruolo della cosiddetta “sinistra” è quello di preservare lo stato borghese a tutti i costi. Ciò può assumere la forma di collaborazione perfino con i neo-fascisti o, più tradizionalmente, di partecipare a governi di centro-sinistra implementando massicci attacchi sociali alla classe lavoratrice.

Il governo di Romano Prodi nel 2006-2008 ha compreso una coalizione di vari gruppi di centro-sinistra, come pure i partiti legati alla tradizione italiana stalinista, come ad esempio Rifondazione. Il crollo del governo Prodi nel 2008 è stato il diretto risultato delle sue politiche reazionarie, sostenute da Rifondazione.

Il governo Prodi è stato responsabile di un calo dei salari, così come di una “riforma” delle pensioni che ha inflitto una grave sconfitta al diritto dei lavoratori a una pensione dignitosa. In politica estera, il governo Prodi è stato sostanzialmente allineato con l’imperialismo statunitense. Ha approvato la fasulla “guerra al terrore” come argomento legittimo per giustificare le guerre criminali in Afghanistan e in Iraq, e ha inviato truppe nel sud del Libano.

Le elezioni che seguirono furono un chiaro ripudio di tali politiche. Rifondazione perse tutti i suoi seggi in Parlamento come conseguenza dei suoi tradimenti (vedi: “Il crollo di Rifondazione Comunista in Italia”).

Il collasso di Rifondazione ha prodotto un certo numero di frammenti di destra. Paolo Ferrero, ex membro dell’ultimo governo Prodi, è rimasto il segretario di Rifondazione. Egli è l’esempio più eclatante di opportunismo politico: come ministro nell’ultimo governo Prodi, ha servito come foglia di fico “di sinistra”, mentre venivano implementate politiche di destra contro i lavoratori.

Significativamente, ha recentemente inviato un messaggio di approvazione a Fini, dicendo: “Fini è nel giusto quando afferma che il governo Berlusconi non è in condizione di continuare nella sua azione dissennata.” Se le parole di Fini sono oneste, allora bisognerebbe “presentare e votare la sfiducia a Berlusconi”. Ci sono chiari segnali di preparativi in atto per il supporto di un insediamento neo-fascista nel nome di “sbarazzarsi di” Berlusconi.

Questa è la posizione tipica dei professionisti dell’opportunismo: quando si tratta della questione cruciale del potere politico, Rifondazione preferisce un governo neo-fascista, piuttosto che il compito di guidare la classe lavoratrice alla formazione di un genuino stato dei lavoratori. Tutti gli altri partiti dell’area di “sinistra” adottano fondamentalmente questa stessa posizione.

Sinistra Critica, il gruppo Pablista uscito da Rifondazione mentre quest’ultima era nel governo Prodi, chiede una vasta coalizione di “sinistra”, ad esclusione del Partito Democratico. Questo è un segnale che è pronta ad unire le forze con i suoi ex complici di Rifondazione e con il sindacato riformista FIOM.

Un altro Pablista, Marco Ferrando, anche egli ex leader di Rifondazione, fino al governo Prodi, fa eco alle posizioni di Sinistra Critica, proponendo “l’indipendenza politica della sinistra antagonista dal quadro istituzionale e dal PD.” La sinistra combattiva a cui egli si riferisce è, tuttavia, un frutto della fantasia di Ferrando. Gli ex politici di Rifondazione stanno apparentemente discutendo se tornare alle loro vecchie alleanze anti-lavoratori, con i democratici, o stabilire alleanze con i neofascisti.

L’ex leader di Rifondazione e presidente della Regione Puglia Nicky Vendola di Sinistra Ecologia e Libertà (SEL) è ancora più diretto. Il suo spostamento a destra è espresso chiaramente da un accordo per una più formale collaborazione con il Partito Democratico.

Come governatore della regione Puglia si è dimostrato un affidabile agente del capitale. In una recente intervista durante la sua campagna regionale si vantava di sviluppare “un’idea spigliata, non-claustrofobica della competizione internazionale.” Il Financial Times riporta che gli investitori hanno eletto la Puglia a regione più attraente del sud Italia sotto la leadership di Vendola.

Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani, un ex-stalinista del Partito Comunista Italiano (PCI), ha dichiarato che Fini ha detto “parole giuste”, ma che ora “servono fatti giusti.” Questa è praticamente un ’offerta di collaborazione nel prossimo futuro per la formazione di un governo tecnico, sulla strada di nuove elezioni.

Il ruolo di Bersani può essere meglio compreso nel contesto dei governi di centro-sinistra di Prodi, D’Alema e Amato (1996-2001) e Prodi (2006-2008) in cui ha ricoperto incarichi ministeriali. Ciò che questi governi hanno avuto in comune sono le politiche di privatizzazione con conseguente smantellamento e distruzione dell’intera infrastruttura sociale che era stata il risultato di grandi conquiste da parte della classe lavoratrice attraverso aspre lotte, soprattutto nel periodo del dopoguerra.